Aurora inizia a curarsi |
(continua dall’articolo "La paura della paura") Dopo aver avuto il mio primo attacco di panico, di cui ti ho parlato in dettaglio nell’articolo "Aurora si sente male" (Parte I), ho sviluppato la paura della paura. Il malessere che avevo avuto era il mio unico pensiero, volevo sapere come si chiamava, cosa avrebbe comportato e, cosa più importante di tutto, se sarebbe ancora tornato. I manuali, tanto per farmi agitare di più, mi raccontavano come questo disturbo portasse a grandi limitazioni, all’ansia anticipatoria, e che non si trattava di un episodio isolato, ma poteva, con alte probabilità, ripetersi. Per coronare il tutto, a parte infauste previsioni, non mi veniva detto come ci si poteva curare. Ebbe per me inizio un periodo molto difficile, in cui faticavo ad uscire di casa perché temevo di avere gli attacchi di panico, mi spaventavano tutte quelle situazioni che mi richiedevano degli spostamenti (dai viaggi in automobile, sui mezzi pubblici, ma anche brevi passeggiate), ero più serena se con me ci fossero stati i miei genitori, o Lorenzo, le uniche persone che sapevano del mio problema. Avevo tanta volontà, volevo guarire, ma non volevo essere aiutata, e così passavo nottate insonni al pensiero che la mattina seguente avrei dovuto viaggiare in autobus, immaginare il giorno dell’esame era una tortura, andare a divertirmi una fatica. La mia reazione fu di recarmi dal mio medico, da cui arrivai con tanto di diagnosi fatta e proposte di possibili soluzioni (stavo diventando dottore anch’io…). Avere la possibilità di parlare con un professionista del mio malessere, fu per me liberatorio, per la prima volta qualcuno mi ascoltava, e capiva di cosa parlavo. Mi consigliò dei farmaci (i medici curano solo così), antidepressivi, perché per lui l’ansia nascondeva una depressione. Ovviamente, presi i farmaci prescritti e mi precipitai dagli psicologi (quel professore al convegno aveva però detto che quelli come me sono inguaribili!). Non trovai l’accoglienza di cui avevo bisogno. Il primo colloquio lo ebbi con il primario, dottorone dall’aspetto severo, con cui non mi sentivo per nulla a mio agio. La collega si mostrò più accogliente, empatica direbbe uno psicologo. Ci incontrammo tre volte, per entrambe bastava così! L’università stava per terminare, ora mi mancava solo un esame, la tesi era quasi pronta, potevo davvero concedermi di staccare un po’ la spina, così iniziai a stare meglio. Non ero più oppressa dallo studio e mi permettevo lunghe pause per passeggiare, andare in bicicletta, leggere romanzi. Riuscivo a distrarmi ed ero più rilassata. I sintomi fastidiosi che per mesi mi avevano perseguitato si allentavano, avevo meno paura della paura, certi giorni non ne avevo. Quel professore allora si sbagliava, si possono avere degli attacchi di panico, delle fobie, ma si può guarire. Non sono bastati quei pochi colloqui con la psicologa, o una confezione di antidepressivi, per farmi tornare quella di prima. Il percorso è stato più lungo, ci sono stati alti e bassi, ma di questo ti parlerò in seguito. (continua con l’articolo "Le ricadute") Aurora Vedi tutti gli articoli pubblicati dall'autore |